Cardiomiopatia ipertrofica ostruttiva: nuove evidenze a favore di mavacamten



In un campione di pazienti affetti da cardiomiopatia ipertrofica ostruttiva un trattamento di 16 settimane con l’inibitore della miosina cardiaca mavacamten ha permesso di evitare, nella maggior parte dei casi, un intervento chirurgico finalizzato alla riduzione dell’ostruzione. È quanto emerge dai risultati del trial VALOR-HCM, presentati nel corso della prima giornata congressuale di ACC.22.

Lo studio randomizzato, placebo-controllato, in doppio cieco VALOR-HCM ha preso in considerazione 112 soggetti adulti affetti da cardiomiopatia ipertrofica ostruttiva sintomatica inviati presso uno dei 19 centri specializzati coinvolti. Si trattava di pazienti con una malattia grave: più del 90% aveva sintomi da Classe NYHA III e un gradiente ostruttivo del tratto di efflusso ventricolare sinistro (LVOT) post-esercizio medio di 80 mmHg. La maggior parte era in trattamento con beta-bloccanti, calcio-antagonisti o entrambi.

I soggetti sono stati randomizzati per ricevere un trattamento di 16 settimane con mavacamten o un placebo. Per quanto riguarda quelli in trattamento con mavacamten la dose iniziale era di 5mg, poi aggiustata (da 2,5 mg a 15 mg) in base a un monitoraggio ecocardiografico della frazione di eiezione del ventricolo sinistro e del gradiente LVOT. Tutti i pazienti sono stati sottoposti a valutazione clinica ed ecocardiografia alla baseline, dopo un mese e a 16 settimane. L’endpoint primario era costituito dall’evitamento dell’intervento chirurgico di riduzione dell’ostruzione, mediante miectomia o alcolizzazione settale, per mancato soddisfacimento dei criteri di eligibilità indicati dalle linee guida ACC/AHA (gradiente LVOT ≥ 50 mmHg e Classe NYHA III-IV) o per decisione del paziente e del clinico.

Dopo 16 settimane 43 pazienti su 56 (73,8%) del gruppo placebo rientravano ancora nei criteri di eligibilità o si erano sottoposti all’intrvento mentre nel gruppo in trattamento con mavacamten queste condizioni riguardavano solo 10 pazienti su 56 (17,9%).  Una differenza pari a una riduzione del rischio assoluto del 55,9% (P <0.0001). Inoltre, il trattamento con mavacamten è risultato associato a un miglioramento anche di tutti gli endpoint secondari considerati: cambiamenti del LVOT post-esercizio, della Classe NYHA, dei risultati al Kansas City Cardiomyopathy Questionnaire (KCCQ) e dei livelli di NT-proBNP e troponina. Particolarmente significativo è il dato riguardante le variazioni di Classe NYHA, con il 63% dei pazienti in trattamento con mavacamten che è sceso di una Classe e il 27% che è sceso di due Classi.

Come sottolineato da Milind Y. Desai, direttore dell’Hypertrophic Cardiomyopathy Center della Cleveland Clinic’s Heart Vascular and Thoracic Institute e responsabile dello studio, il trattamento con mavacamten è stato ben tollerato con solo due pazienti che hanno avuto un calo della frazione di eiezione del ventricolo sinistro fino a sotto il 50%, poi risolto con l’aggiustamento del dosaggio. Non è stato valutato, invece, il profilo di sicurezza di mavacamten per quanto riguarda il rischio di aritmie e morte cardiaca improvvisa. Ai soggetti è stato proposto di entrare in uno studio di estensione a 3 anni scegliendo se sottoporsi al trattamento con mavacamten o l’intervento chirurgico e il 95% ha scelto la prima opzione.

“Questa è una grande vittoria per i pazienti – ha commentato Desai – soprattutto per le molte persone che non vogliono un intervento chirurgico, sono ad alto rischio di complicazioni o non hanno una buona anatomia per l’ablazione”. Va però sottolineato che l’effetto ottenuto in riferimento all’endpoint primario è stato guidato principalmente dalla riduzione del numero di pazienti che non rientrava nei criteri di eligibilità per l’intervento chirurgico piuttosto che dal numero di pazienti che aveva scelto di non affrontare l’intervento. Sono quindi necessari studi di durata maggiore per valutare per quanto tempo questo effetto possa essere mantenuto. Infine, il campione di studio era composto principalmente da pazienti molto gravi, trattati e monitorati presso Centri altamente specializzati: resta da valutare quale saranno gli effetti legati all’utilizzo di questo trattamento in altri contesti.